Quando si parla di razzismo e di discriminazione razziale è già molto difficile intendersi sulle definizioni e ogni scelta può avere conseguenze politiche e giuridiche. Trovare un consenso fa parte della riflessione sull’argomento.
Per un approfondimento sulle principali definizioni e sul loro uso nel contesto nazionale e internazionale, si consiglia la lettura dello studio di Tarek Naguib, commissionato nel 2014 dal SLR e dal Dipartimento federale degli affari esteri.
Per dati e cifre sulla discriminazione razziale e il razzismo consultate il monitoraggio del SLR «Razzismo in cifre».
Nel seguito sono riportate le definizioni operative usate dal Servizio per la lotta al razzismo SLR.
Definizioni di base
Il termine «razzismo» designa un’ideologia e/o una prassi che suddivide e gerarchizza gli esseri umani sulla base della loro fisionomia e/o della loro effettiva o presunta appartenenza etnica, nazionale o religiosa. Le persone non sono trattate come individui, ma come appartenenti a gruppi pseudo-naturali («razze»). In quanto tali, vengono loro attribuite collettivamente caratteristiche morali, culturali o intellettuali inferiori e immutabili.
Questa gerarchizzazione, non necessariamente fondata su un’ideologia e spesso involontaria o addirittura inconscia, è insita in strutture sociali, istituzioni e dinamiche e genera o consolida rapporti di potere, esclusioni e privilegi.
Il razzismo non può essere ricondotto unicamente all’agire (malvagio) di singoli, ma viene tramandato storicamente, socialmente e culturalmente ed è radicato nelle strutture sociali (v. «razzismo strutturale») ed è dunque un problema di tutta la società e dev’essere affrontato come tale.
Il razzismo si manifesta:
- in pregiudizi, stereotipi, ostilità o aggressioni;
- in forma di discriminazione istituzionale e strutturale, diretta o indiretta;
- in reati a movente razzista (crimini d’odio), quali attacchi all’integrità fisica o contro proprietà di persone o istituzioni;
- in affermazioni orali o scritte che incitano alla violenza, all’odio o alla discriminazione (discorsi d’odio).
Per le basi legali si veda: Diritto e consulenza
L’espressione «razzializzazione» designa il processo di attribuzione e di affermazione di differenze basate su idee razziste. Le persone e i gruppi della popolazione vengono così categorizzati, stereotipati e gerarchizzati sulla base di caratteristiche fisiche, sociali o mentali reali o presunte. Il termine è usato per sottolineare il costrutto sociale di «razza».
Razzismo e razzializzazione non possono essere scissi perché la razzializzazione implica la distribuzione del potere e quindi l’esercizio del dominio. In questo senso, il processo di razzializzazione serve a legittimare atti razzisti inconsci o consapevoli.
L’espressione «discriminazione razziale» definisce ogni azione o prassi che senza giustificazione alcuna svantaggia determinate persone, le umilia, le minaccia o ne mette in pericolo la vita e/o l’integrità fisica a causa delle loro caratteristiche fisionomiche, etniche, culturali e/o religiose reali o presunte.
La discriminazione razziale non ha necessariamente un fondamento ideologico.
Per razzismo strutturale s’intende una forma di discriminazione o esclusione di gruppi razzializzati radicatasi nella società che si manifesta in valori, comportamenti e idee di normalità consolidatisi nella storia. Questo fenomeno spesso è percepito dalla popolazione come «normale» o non è comunque messo in discussione e caratterizza quindi l’intera società, incluse le istituzioni e le imprese. Il razzismo strutturale ha tendenzialmente l’effetto di moltiplicare le disparità.
Il polo opposto è il privilegio strutturale: gruppi e classi sociali dirigenti non sono consapevoli dei propri privilegi, che considerano «naturali» (in America si parla di white privilege).
Possono essere considerate razzismo strutturale anche visioni del mondo e degli esseri umani veicolate dalla tradizione, dalla socializzazione e dall’educazione che influenzano, perlopiù a livello inconscio, valori, atteggiamenti e azioni. Questi valori impliciti (bias impliciti) sono profondamente radicati e non possono essere modificati con misure ad hoc individuali, ma richiedono una continua analisi critica delle strutture sociali che permetta di riconoscere e affrontare possibili discriminazioni.
Il termine «discriminazione istituzionale» designa l’esclusione e la condizione di svantaggio di determinati gruppi talmente radicate in un’istituzione e nella sua cultura da essere accettate come «normali» e, quindi, non necessariamente percepite o messe in discussione. Si parla di discriminazione istituzionale quando i processi o i regolamenti di istituzioni od organizzazioni sono particolarmente svantaggiosi per determinate persone o gruppi di persone e ne provocano di fatto l’esclusione. Si è in presenza di discriminazione istituzionale anche quando lo Stato non adempie allo stesso modo nei confronti di tutti i gruppi della popolazione il proprio dovere di protezione della popolazione.
Si è inoltre in presenza di discriminazione istituzionale quando un’istituzione protegge in misura insufficiente dalla discriminazione i propri dipendenti o destinatari (ad es. con linee guida e sanzioni, corsi di formazione continua e processi di lavoro garantiti).
La «razza» è un costrutto sociale mediante il quale si definisce e/o si legittima l’appartenenza o la non appartenenza di persone a un gruppo o a una popolazione. Applicando alle scienze sociali questo concetto, mutuato dalle scienze naturali, disparità socioeconomiche, culturali o religiose sono spiegate come biologicamente date e differenze fisionomiche, genetiche, sociali, culturali, simboliche e intellettuali sono motivate in modo da escludere persone e negare loro i diritti e la dignità umana.
In Europa, specialmente in territorio germanofono, il concetto di «razza» è malvisto per ragioni storiche (nazionalsocialismo). Nelle convenzioni internazionali è però usato per designare una caratteristica in base alla quale è vietato discriminare, ragion per cui continua a esistere anche nelle disposizioni legali della maggior parte degli Stati, inclusa la Svizzera (art. 8 della Costituzione federale [Cost.], art. 261bis del Codice penale [CP]).
Finora, non è riuscito ad affermarsi nessun termine alternativo o parafrasi (ad es. etnia od origine) che racchiuda in modo conciso tutti gli elementi inclusi nel termine «razza» e possa garantire la stessa protezione giuridica dalla discriminazione razziale (cfr. studio giuridico «La nozione di ‹razza› nel diritto svizzero» del 2019). Nell’area germanofona è sempre più utilizzato il termine inglese «race» per sottolineare la natura socialmente costruita della categoria (razzializzazione), mentre quando è impiegato nell’area francofona, ad esempio nella letteratura scientifica, il termine «race» è riferito esclusivamente a un costrutto sociale e non a una realtà biologica, ed è generalmente posto tra virgolette e integrato da precisazioni semantiche. Nei Paesi di lingua inglese, in particolare negli Stati Uniti e in Canada, il termine «race» ha subito una transizione semantica e viene utilizzato per designare gruppi della popolazione che sono stati vittima di una discriminazione razziale strutturale, i cui effetti sono ancora percepibili.
Razzismi specifici
Il razzismo anti-Nero è riferito specificamente al colore della pelle e ad altre caratteristiche fisionomiche visibili e immutabili. L’individuo è così ridotto alla sua fisionomia; altre caratteristiche della personalità, come l’appartenenza «etnica» o religiosa, l’origine, il livello d’istruzione o le condizioni socioeconomiche, sono secondarie.
Il razzismo anti-Nero costituisce il nucleo delle ideologie razziste sorte nel XVIII e XIX secolo a giustificazione dei sistemi di potere coloniali e dello schiavismo. Le immagini coniate dal colonialismo e dallo schiavismo condizionano ancora oggi la percezione dei Neri e la posizione sociale loro attribuita.
Approfondimenti: SLR, razzismo anti-Nero
Il termine «razzismo antimusulmano» designa un atteggiamento di rifiuto o di ostilità nei confronti delle persone che si definiscono musulmane o sono percepite come tali.
Il razzismo antimusulmano è riconducibile a una concezione del mondo (ideologia) esclusiva («noi-loro») fondata su immagini distorte e stereotipi negativi nei confronti di persone provenienti dal mondo arabo od orientale percepito come islamico.
Approfondimenti: SLR, razzismo antimusulmano
Il termine «antisemitismo» è usato oggi come iperonimo e in parte anche come sinonimo di tutti gli atteggiamenti antiebraici e designa un atteggiamento di rifiuto nei confronti delle persone che si definiscono ebree o sono percepite come tali. È un fenomeno specifico di razzismo, in cui a un’appartenenza religiosa (l’oggetto dell’ostilità antiebraica) viene fatta corrispondere un’appartenenza etnica (l’oggetto dell’antisemitismo). L’antisemitismo si fonda su una concezione del mondo (ideologia) esclusiva («noi-loro») che si esprime in discorsi complottisti ed è caratterizzata da immagini distorte e stereotipi negativi dell’«ebreo» consolidatisi nel tempo: gli «ebrei» sono visti come una collettività che cospira per danneggiare e dominare l’umanità e resta un elemento estraneo e distruttivo nella società in cui vive. Oltre alle manifestazioni menzionate nel capitolo dedicato al razzismo, l’antisemitismo comprende la negazione, la banalizzazione e la giustificazione dell’Olocausto e della Shoah.
Rinviamo ad una definizione più ampia fornita nel rapporto in adempimento del postulato Rechsteiner Paul, che precisa e amplia la definizione operativa di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto IHRA.
Approfondimenti: SLR, Antisemitismo
Per razzismo nei confronti di jenisch, sinti/manouches e rom s’intende l’atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso le persone che si definiscono o sono percepite come tali. Questo razzismo specifico si fonda su una concezione del mondo (ideologia) esclusiva («noi-loro») caratterizzata da immagini negative consolidatesi nel tempo.
Oltre alle forme menzionate alla voce razzismo, comprende anche l’esclusione sociale e la negazione delle basi necessarie per un modo di vita indipendente (a volte, ma non sempre, nomade). Nel corso della storia, si è manifestato sotto forma di discriminazione economica, sociale o statale, di persecuzione politica, di espulsioni, internamento, adozioni di bambini e sterilizzazioni coatte o di genocidio organizzato dallo Stato, ad esempio sotto il regime nazista.
Spesso per designare il razzismo contro jenisch, sinti/manouches e rom è impiegato il termine «antiziganismo», coniato in analogia alla nozione di antisemitismo e in uso dagli anni 1980 per designare l’atteggiamento ostile e caratterizzato da stereotipi negativi nei confronti di jenisch, sinti/manouches, rom e altre persone e gruppi cui è affibbiato lo stigma di «zingaro». Il termine è controverso in quanto contiene la denominazione razzista di «zingaro» e con la quale i diretti interessati non si identificano.
Approfondimenti:
SLR, Razzismo nei confronti di jenisch, sinti/manouches e rom
Definizione operativa di antiziganismo dell’IHRA.
Il termine «xenofobia» designa un atteggiamento ostile fondato su pregiudizi e stereotipi contro determinati gruppi percepiti come «estranei» e che storicamente, ma anche nel contesto sociale attuale, sono tendenzialmente emarginati o comunque trattati come inferiori.
La xenofobia è spesso giustificata in quanto comportamento insito nella natura umana e dunque immutabile. I processi di stigmatizzazione (v. razzalizzazione) hanno tuttavia sempre una radice culturale e sociale e possono quindi essere modificati.
Il concetto è di uso corrente in convenzioni e documenti internazionali (spesso abbinato al concetto di razzismo: razzismo e xenofobia).
Forme di discriminazione razziale e di razzismo
Si è in presenza di discriminazione diretta quando una persona è svantaggiata per ragioni inammissibili rispetto a un’altra che si trova in una situazione comparabile. Una disparità di trattamento è discriminatoria quando è fondata su caratteristiche che costituiscono una parte essenziale e irrinunciabile o pressoché tale dell’identità di una persona e sono quindi correlate alla dignità umana (per un elenco non esaustivo cfr. art. 8 cpv. 2 Cost.). Se però vi sono motivi validi per la differenziazione, si tratta di una disparità di trattamento, ma non di una discriminazione (per la prima volta nel 2000 nella DTF 126 II 377 consid. 6a pag. 392 seg.).
Si è in presenza di una discriminazione indiretta quando, nonostante la loro apparente neutralità, basi legali, linee politiche o prassi hanno come risultato una disparità di trattamento illecita di persone o gruppi di persone (cfr. DTF 129 I 217 consid. 2.1 pag. 224 [2003]).
Si è in presenza di una discriminazione multipla quando una persona è discriminata allo stesso tempo a causa di più caratteristiche malviste, ad esempio a causa di caratteristiche fisionomiche o dell’appartenenza religiosa, a causa del sesso, dell’identità o dell’orientamento sessuale, della situazione socioeconomica, di una disabilità o di un’altra caratteristica.
L’intersezionalità non definisce l’effetto additivo (discriminazione multipla), ma l’effetto combinato della compresenza di discriminazioni fondate su caratteristiche diverse, ma inscindibili e interdipendenti. La nozione, elaborata da Kimberlé Crenshaw, si focalizza soprattutto sul modo in cui il razzismo, il patriarcato, l’appartenenza a una classe e altri sistemi di sottomissioni costruiscano disparità non visibili a prima vista.
Discriminazioni complesse di questo tipo possono essere rilevate soltanto in misura insufficiente dall’attuale sistema di protezione svizzero, che è strutturato in settori.
Si parla di profilazione razziale quando una persona è controllata da agenti di polizia o della sicurezza o da guardie di confine non in base a sospetti concreti, ma soltanto a causa delle sue caratteristiche fisionomiche o di altre caratteristiche visibili e/o della sua (presunta) origine etnica o fede religiosa.
Criticata come non professionale e inefficace, in molti Paesi la profilazione razziale è vietata per legge.
Divieti e corsi di formazione continua non bastano tuttavia a modificare valori impliciti (v. sopra) e prassi istituzionali. Le istituzioni di polizia sono pertanto tenute a modificare le loro prassi in modo che gli episodi di profilazione razziale possano essere controllati e sanzionati da organi indipendenti.
Approfondimenti: SLR, temi.
È definito crimine d’odio un reato motivato da odio o disprezzo nei confronti di persone o gruppi di persone e finalizzato alla loro esclusione.
L’intenzione discriminatoria può avere moventi razzisti, misogini, omofobi ecc.
In Svizzera, il movente dell’odio può costituire un’aggravante e portare a una condanna più severa (DTF 133 IV 308). Nel quadro di accordi internazionali si raccomanda alla Svizzera di inserire nel Codice penale una disposizione che qualifichi come circostanza aggravante il movente razziale e preveda pene più severe per i reati in cui sia dimostrato.
Approfondimenti: SLR, Razzismo in rete.
I discorsi d’odio sono invettive rivolte direttamente ai destinatari o espresse ad altri che denigrano e diffamano una persona o un gruppo di persone.
Nonostante siano oggetto di intense discussioni sia a livello nazionale che a livello internazionale, non si è ancora giunti a una definizione giuridica unitaria di questo complesso concetto. Sebbene siano sempre denigratori, non tutti i discorsi d’odio sono considerati abbastanza pericolosi da essere giuridicamente inammissibili e giustificare una limitazione della libertà d’espressione.
In Svizzera, i discorsi d’odio possono tuttavia essere perseguiti in applicazione di diverse disposizioni penali (ad es. art. 173, 174, 177, 180 o 261bis CP) o della protezione della personalità prevista dal diritto civile (art. 28 del Codice civile).
I discorsi d’odio razzisti discreditano e denigrano persone o gruppi di persone razzializzati. Sono inoltre sempre più diffusi in Internet, il che spesso ne rende difficile il perseguimento.
Approfondimenti:
SLR, razzismo in rete.
Stahel, 2020: «Statu quo e misure contro i discorsi d’odio in Internet: panoramica e raccomandazioni»
Ultima modifica 01.02.2024
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